mercoledì 29 ottobre 2008

Perché pagare se non c’è il depuratore?

Ancora una volta la Corte di Cassazione, con una recentissima sentenza (per l’esattezza la n° 35/2008), è intervenuta per ripristinare la legittimità nell’ambito di un prelievo che – proprio perché inerente un servizio – non può essere applicato “tout court” sulle varie voci che compongono le bollette. Farlo, significa infatti porsi in palese contrasto con le norme costituzionali. Ed ancora una volta- ciò non mi sorprende- la questione riguarda le bollette di Publiacqua e viene a colpire una delle miriadi di voci che in un modo o nell’altro, correttamente o meno, gravano sulle tasche dei cittadini senza minimamente preoccuparsi se il prelievo possa essere giusto e soprattutto dovuto.
Nello specifico, la Suprema Corte ha ritenuto non dovuto dai cittadini il prelievo applicato nelle bollette dell’acqua per il servizio di depurazione quando il depuratore non esiste, ovvero quando non è regolarmente funzionante. Ha pertanto dichiarato illegittimi due commi contenuti rispettivamente nella legge 36/1994 (chiamata più semplicemente legge “Galli”) e nel decreto legislativo 152/2006, sostanzialmente contenenti le più recenti ed importanti norme che riguardano l’ambiente.
Sono state ritenute inapplicabili – proprio in quanto non legittime – quelle disposizioni che prevedono l’applicazione nei confronti degli utenti della quota di tariffa per il servizio di depurazione anche “nel caso in cui la fognatura sia sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi”.
E’ stato posto rimedio a norme inique che praticamente autorizzavano l’applicazione della quota di depurazione nelle bollette per le forniture idriche, considerandola un vero e proprio tributo e non, come al contrario ha sancito la Corte di Cassazione, il corrispettivo dovuto per un servizio reso. Non verificandosi le condizioni per l’erogazione del servizio, non può essere chiesto il pagamento di un corrispettivo.
Cosa succederà si domanderanno i nostri lettori? Semplicemente che le aziende fornitrici del servizio – nel nostro caso Publiacqua – dovrebbero cessare immediatamente di fatturare il “canone di depurazione” per tutti quei cittadini che risiedono in zone non servite dal depuratore o che, in tutti i casi di fermo, non usufruiscono delle prestazioni dell’impianto come stabilito dalla sentenza.
Altra considerazione importante è che la decisione della Cassazione ha anche una valenza retroattiva per i versamenti effettuati negli anni scorsi per cui gli utenti che li avessero effettuati avrebbero diritto alla restituzione delle somme illegittimamente addebitate. Saranno determinanti le iniziative delle associazioni dei consumatori o dei rappresentanti della proprietà edilizia (come la nostra) che, per quanto risulta, si sono già attivate per offrire consulenze finalizzate alla richiesta del rimborso delle somme non dovute per tutti gli anni precedenti. Nonostante ciò, sarebbe auspicabile che gli ATO e le aziende erogatrici – Publiacqua per quanto ci riguarda – per una volta assumessero le opportune iniziative per ripristinare giustizia e legalità.
Speriamo che, almeno per una volta, questo possa avvenire, restituendo un minimo di fiducia in quelle aziende, pubbliche o meno, le quali hanno sempre dato l’impressione di non avere a cuore gli interessi degli utenti.

Nessun commento: