mercoledì 15 ottobre 2008

Cosa sarà del mercato immobiliare?

Ho letto con vivo interesse sull’ultimo numero di Metropoli Campi Bisenzio l’editoriale del direttore Fabrizio Nucci. Nell’articolo cui mi riferisco si evidenziava come la crisi internazionale abbia colpito anche quelle cattedrali del consumismo che sono i centri commerciali, sorti in maniera abnorme in questi ultimi anni nella Piana.
In sostanza, è questa la mia interpretazione, che ritengo rifletta il pensiero espresso da Nucci: il moltiplicarsi senza limiti di questi “megastores” non ha fatto altro che trasformare un mercato sfrenato in una sorta di mostro che alla fine è costretto a mangiare se stesso. Un liberismo privo di limiti che alla lunga ha praticamente distrutto il commercio di vicinato svuotando di fatto i centri storici, i quali hanno visto scomparire un tessuto non solo economico, ma anche sociale.
Mi è venuto spontaneo trasferire le stesse considerazioni al mercato immobiliare ed al mondo della casa in generale, in quanto per alcuni aspetti si riscontrano le stesse situazioni e, conseguentemente, si potrebbero trarre valutazioni finali di analogo contenuto. Il continuo aumento del numero delle costruzioni ha raggiunto un limite tale, indipendentemente dalle difficoltà momentanee connesse alla lievitazione dei tassi di interesse sui mutui che frenano le vendite, da rischiare di raggiungere la saturazione della possibile richiesta. Un altro pericolo legato a ciò potrebbe essere il blocco o comunque il contrarsi di una richiesta di alloggi tale da provocare la stasi dell’intero settore immobiliare.
Non si è valutato in modo corretto che ormai oltre l’80% degli italiani risulta proprietario della propria casa, che da tempo il settore delle locazioni vive una situazione di disagio (e per l’alto livello della tassazione sul bene casa e per l’assurda lunghezza delle procedure di sfratto per morosità) che impedisce - o comunque riduce notevolmente - l’interesse di questo tipo di investimento. Infine è stato trascurato come il mondo del lavoro non offra più garanzie di stabilità economica per i giovani che dovrebbero e potrebbero essere i primi destinatari del mercato immobiliare.
Arriveremo, se non siamo già arrivati, al punto di avere un numero di abitazioni molto elevato in relazione al potenziale mercato di acquirenti con conseguenze negative per un intero comparto economico – quello edile – ed effetti disastrosi per gli enti locali che spesso, forse troppo, hanno basato i loro bilanci sulle entrate degli oneri urbanistici.
In definitiva, un mercato che non ha saputo trovare al proprio interno quelle programmazioni capaci di rispondere correttamente alla domanda, diversificando di volta in volta la tipologia degli immobili in funzione della richiesta.
Non è un caso che nei primi sei mesi dell’anno 2008 le vendite siano calate del 12/14% ed il costo degli immobili sceso mediamente del 2,7%. Che sia un segnale da recepire e valutare?
Antonio Esposito

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