venerdì 27 marzo 2009

Piano Casa: perché non parliamo anche di locazioni?

In questi giorni si parla moltissimo del cosiddetto “piano casa” scaturito da un’idea del Presidente del Consiglio, sul quale sono stati e continuano ad essere espressi pareri positivi o negativi così come vengono minacciati ricorsi costituzionali da alcune Regioni che considerano lesa la propria competenza a legiferare in materia urbanistica e di gestione del territorio. Tuttavia, tralasciando per il momento di svolgere un esame approfondito sui contenuti di base di questo provvedimento - che dovrebbe essere emanato in via definitiva nei prossimi giorni – rimandandolo a quando potremo esprimere pareri più pertinenti e corretti, pare di capire che le iniziative governative siano orientate a riprendere il processo di edilizia economica popolare che, purtroppo, non potrà che essere molto limitato e del tutto insufficiente viste le difficoltà economiche in cui versa il Paese per cui, almeno per quello che è dato sapere, saranno programmate 5.000 nuove abitazioni da destinare alla fascia più debole di cittadini che, altrimenti, non avrebbero alcun possibilità di accedere al libero mercato immobiliare.
E’ chiaro, data la premessa, come il numero di alloggi che dovrebbero essere realizzati (ci sia consentito di usare un bel condizionale viste le esperienze passate) rappresentino una goccia nel mare dei bisogni di quella parte di cittadini che versano in grosse difficoltà nel realizzare il sogno, tale deve essere ancora considerato, di una propria casa.
Diventa quindi incomprensibile come nessuno voglia o sappia prendere in considerazione che nel nostro paese esistono circa 40.000 alloggi sfitti che non ritornano sul mercato per varie motivazioni che vanno dall’alta tassazione gravante sul reddito da locazione all’assoluta inaccettabilità dei continui blocchi degli sfratti - compresi quelli per morosità che rasenta l’assurdo – e quindi dell’impossibilità di rientrare in possesso dell’abitazione in tempi ragionevoli. Allora, dovrebbe essere facilmente comprensibile per i nostri governanti che la semplice attuazione di provvedimenti tesi ad eliminare queste evidentissime storture non farebbe altro che ridare vigore alle locazioni ed offrire ulteriori possibilità di risolvere il problema “casa” alle molte famiglie ed in particolare a quelle più giovani, che non possono pensare – per la gravità della situazione economica e l’impossibilità di accedere ai mutui vista la precarietà del lavoro – di acquistarne una.
Abbiamo più volte segnalata la necessità di arrivare all’applicazione di una cedolare secca sui redditi di locazione in sostituzione di tutte quelle tasse ed imposte attualmente a carico di un proprietario che decide di cedere in locazione un’abitazione, creando quindi le condizioni per aprire nuovamente un mercato del tutto fermo e senza prospettive, incidendo in maniera molto più consistente ed esaustiva rispetto alla realizzazione di soli 5.000 alloggi.
Non risulterebbe neppure giustificata la preoccupazione del governo di una riduzione delle entrate fiscali, in quanto l’applicazione di un’aliquota fissa del 20% sul reddito da locazione comporterebbe sicuramente la probabilissima emersione di una buona parte degli affitti in nero legata all’assoluta illogicità di evadere le imposte in presenza di un’aliquota fissa del tutto accettabile. Se poi il provvedimento fosse adottato a partire dai canoni concordati (quelli per intenderci fissati dai patti territoriali tra enti locali ed associazioni di inquilini e proprietari) si potrebbe ragionevolmente pensare di avere l’ulteriore vantaggio di ridurre, nei casi di famiglie e/o soggetti più deboli, i contributi che i comuni elargiscono per aiutare nel pagamento dell’affitto.
Proprio mentre scriviamo queste nostre osservazioni sembra che le forze politiche, tutte senza distinzione fra maggioranza ed opposizione, siano entrate nell’ordine di idee di prendere in considerazione questa opportunità e di adottare in tal senso un provvedimento ad hoc. Finalmente anche questa battaglia, che la nostra Associazione conduce da lungo tempo ed in modo molto deciso, sembrerebbe destinata a trovare una soluzione positiva dopo le molteplici e ripetute assicurazioni forniteci in campagna elettorale da molti leader politici – compreso l’attuale Presidente del Consiglio – confermando una volta di più che perseguire l’interesse dei cittadini, in questo caso proprietari ed inquilini insieme, prima o poi ottiene un giusto riconoscimento del lavoro quotidianamente portato avanti da Confedilizia.

Casa: discutiamone senza ipocrisie

Com’era prevedibile le proposte del premier sui provvedimenti da emanare per rimettere in marcia il settore dell’edilizia hanno provocato un’infinità di discussioni e prese di posizione più o meno legate a valutazioni suggerite da diverse posizioni politiche, piuttosto che da un esame approfondito – peraltro ancora difficile visto che non esiste ancora un testo definitivo (o quasi) sul quale confrontarsi – sulla base dei contenuti tecnico-giuridici attinenti alcuni aspetti della bozza del piano casa.
Spesso, potremmo anche osare di dire sempre, commenti e giudizi sono dettati più dall’appartenenza ad uno schieramento politico od all’altro che non ad una corretta e serena valutazione delle proposte e delle loro conseguenze sulla vita dei cittadini, del loro impatto per il territorio e per la corretta programmazione degli interventi urbanistici. Ci troviamo di fronte ad una serie di considerazioni dettate più da convenienza politica che da obiettive considerazioni – appunto – tecniche e giuridiche. Ma, cosa ancora più grave, a valutazioni parziali del problema senza porsi di fronte all’intero pianeta casa e delle relative questioni irrisolte.
Indicativa al proposito l’intervista all’Assessore regionale Riccardo Conti apparsa sul “Corriere Fiorentino” di sabato 21 Marzo u.s. nella quale vengono avanzate le perplessità della regione Toscana su questo provvedimento, come detto ancora basato su ipotesi, in quanto “abitare non vuol dire solo qualche metro quadrato in più, significa servizi, parcheggi, fogne, strade, verde. Non è una questione estetica: è che il governo del territorio è indispensabile”.
A prescindere dal fatto che ci sarebbero stati motivi più strettamente giuridici – e li prenderemo in considerazione con appropriati articoli in questa stessa pagina anche nelle settimane successive perché siamo sicuri che ci saranno ancora molte discussioni da affrontare in merito - degni di essere esaminati, meraviglia che la stessa considerazione non sia mai stata fatta dall’Assessore, e meno che mai dal Presidente Martini, sulla possibilità concessa con semplice D.I.A. (dichiarazione inizio di attività) di frazionare un’unità immobiliare e/o di variare la destinazione di un fondo commerciale per trasformarlo in appartamenti. Eppure, caro Assessore, questo problema è molto più devastante e dirompente del semplice ampliamento delle unità immobiliari (ovviamente in particolare quelle in condominio) perché dovrebbe risultare evidentissimo che nel caso di ampliamento del 20% della superficie dell’appartamento – sempre riferendosi al condominio – non sempre si provoca un aumento dei residenti, cosa assolutamente certa nell’ipotesi del frazionamento delle unità immobiliari!
Come mai questa evidente stortura non ha destato alcun interesse dell’Assessore regionale – per la verità neppure di quelli provinciali, comunali, etc. etc. etc. – pure attento e pronto alla critica (peraltro per altri motivi da noi condivisa) in questa occasione? Perché nessuno si è posto il problema dei servizi, parcheggi, fogne, strade, verde e – aggiungiamo noi – della corretta e programmata espansione urbanistica di una città? Perché, infine, uno strumento urbanistico come la D.I.A., nato per la semplificazione delle procedure per le modifiche interne ad un appartamento, si è trasformata in una sorta di lasciapassare per stravolgere la vita di un condominio in un modo qualche volta insostenibile?
Non si potevano adottare provvedimenti per evitare tutto ciò?

venerdì 20 marzo 2009

ICI ed aree fabbricabili

Questa volta il nostro appuntamento settimanale si occupa di un problema particolarmente sentito da molti cittadini i quali, come accaduto a Campi Bisenzio con le note vicende giudiziarie che hanno di fatto fermato per lungo tempo l’attività edilizia, hanno protestato vibratamente per essersi visti addebitare somme esagerate per l’ICI sulle aree dichiarate fabbricabili ed al contrario sostanzialmente bloccate.
Per questo, contrariamente al solito, ci avvaliamo di un intervento del nostro Presidente nazionale che sul mensile dell’associazione esamina il problema delle aree fabbricali e della relativa imposta alla luce di una sentenza della Commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia particolarmente interessante e tale da aprire prospettive per coloro i quali hanno vissuto sulla propria pelle queste situazioni.
“L’inserimento di un’area in un Piano regolatore anche solo adottato, rende la stessa imponibile ai fini Ici indipendentemente dal suo successivo inserimento in un piano attuativo e, dunque, dalla sua concreta edificabilità. Lo ha stabilito una norma (di “interpretazione autentica” della previgente normativa) della manovra Bersani-Visco del 2006, norma ritenuta da molti commentatori criticabile sul piano dei buoni, e corretti, rapporti che dovrebbero intercorrere tra Fisco e cittadini. Ma ora vengono vieppiù al pettine i nodi creati da un legislatore (affamato di soldi) che ha di fatto stabilito – come visto – l’imponibilità ai fini Ici anche di aree in realtà non fabbricabili, se non in modo del tutto remoto (o, addirittura, ad iniziativa – in caso di previsione della necessità di un piano di attuazione pubblico – dello stesso ente impositore). In un’esemplare sentenza, la Commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia (Presidente Nicastro, relatore Crotti) ha così stabilito che se non si può contestare – sulla base della previsione di legge, avallata dalla Corte costituzionale – l’imponibilità, si può e si deve contestare il valore attribuito da parte del Comune interessato alle aree di cui trattasi, e così prenderle in esame – ad una ad una – in relazione al loro (concreto) grado di edificabilità e, quindi, considerando il loro conseguente valore. Insomma, siffatte aree saranno anche - per legge – imponibili. Ma nello stabilirne il valore (e quindi nel determinare l’imposta) si dovrà – hanno detto i giudici tributari emiliani – tener conto del fatto che, in molti casi, si tratta di una fabbricabilità puramente in astratto. Presidente Confedilizia Corrado Sforza Fogliani“
Di nostro, alle considerazioni importantissime del Presidente, vorremmo solo esprimere la speranza – che fino da adesso consideriamo vana ed utopistica – che le amministrazioni locali prendano atto della sentenza che abbiamo riportato evitando a tutti i cittadini interessati di ricorrere alle varie Commissioni tributarie provinciali per vedersi riconosciuto il diritto ad un equo trattamento fiscale. Purtroppo i precedenti, vedi la questione del canone di depurazione con la corsa alla decretazione che di fatto ha inserito il “canone per l’idea”, non depongono a favore di questo auspicio ma prospettano l’adozione di apposite iniziative comprese quelle di Confedilizia nelle varie sedi territoriali dell’associazione.

venerdì 13 marzo 2009

Piano Casa e condominio

In questi giorni il Premier Silvio Berlusconi ha proposto un piano casa. A suo dire, lo scopo dell'intervento è di rimettere in moto il settore dell’edilizia, particolarmente colpito dalla crisi che attanaglia l’economia mondiale ed in particolare quella del nostro Paese. Nel quale, nonostante le professioni di ottimismo dello stesso Primo Ministro, la recessione stessa provocherebbe secondo fonti autorevoli delle associazioni dei costruttori la perdita di ben 250.000 posti di lavoro.
Ovviamente è particolarmente difficile in questo momento sulla base delle scarse notizie riportate dai giornali comprendere quali saranno i termini esatti di questo provvedimento, per cui dobbiamo limitarci a dare un parere legato esclusivamente all’aspetto generale della proposta con particolare riferimento alla parte che potrebbe riguardare gli edifici in condominio.
Pare evidente, in primo luogo, che alcune delle ventilate possibilità concesse ai cittadini – nel caso specifico ai condomini – contrasterebbero con quanto previsto dal codice civile (e probabilmente dai rogiti, regolamenti contrattuali, etc.) come nell’ipotesi di poter rialzare addirittura gli edifici di un piano con palese ed evidente conflitto con il diritto di sopraelevazione attualmente in vigore.
Ma l’effetto più dirompente per il condominio sarebbe quello di modificare e stravolgere la qualità della vita ed il corretto uso delle parti comuni condominiali che indubbiamente verrebbero stravolte dalla creazione di nuove unità immobiliari o semplicemente dalla modifica “liberalizzata” di altre.
Parrebbe facile capire – forse basterebbe un minimo di buon senso, oppure semplicemente essere od essere stati condomini – che l’aumento di unità immobiliari oppure le variazioni di destinazione (in particolare quelle relative ai fondi commerciali trasformati in appartamenti) comportano difficoltà enormi per tutta una serie di motivi connessi con la necessità di abbinare all’abitazione servizi e infrastrutture necessari ed indispensabili. Come non comprendere che diventa un problema, qualche volta veramente di difficile soluzione, la creazione di nuove linee per campanelli e citofoni, l’installazione di contatori del gas e relative tubazioni di adduzione, l’inserimento di nuove cassette postali in spazi appositamente creati per il numero di unità immobiliari previste in costruzione, l’allacciamento a fosse biologiche e pozzetti realizzate per un certo numero di appartamenti ed infine la complicata situazione dei parcheggi nelle aree condominiali spesso appena sufficienti per gli originari residenti?
Tuttavia, sotto questo aspetto, il provvedimento annunciato porterebbe soltanto un aggravio ulteriore in quanto – anche se certe regioni ora protestano – già le amministrazioni locali autorizzavano il frazionamento di un appartamento in due o più unità immobiliari usufruendo del semplicissimo provvedimento delle D.I.A. (dichiarazione inizio attività) senza alcuna necessità di autorizzazione assembleare ed in barba ai diritti di coloro i quali avevano acquistato la propria casa in determinate condizioni e con specifiche caratteristiche. E, cosa anche peggiore, alla faccia di qualsiasi programmazione dello sviluppo urbanistico e delle infrastrutture necessarie!
Torneremo sull’argomento quando avremo notizie più precise ma, in tutti i casi, non è così che si rimette in modo il mercato e non è così che si risolve la questione casa.

venerdì 6 marzo 2009

Canone di depurazione: dopo il danno la beffa?

La “politica”, quando deve tutelare privilegi e benefici – soprattutto le entrate - riesce a trovare soluzioni fantasiose per mantenere le proprie posizioni, in barba a sentenze negative per il potere anche se emesse dalla Corte Costituzionale. E’ il caso del canone di depurazione e della ormai conosciutissima sentenza, appunto, della Corte Costituzionale, che riteneva la sua applicazione illegittima nel caso in cui gli utenti non beneficiassero del servizio per mancanza degli impianti o semplicemente in caso di mancato funzionamento dei medesimi. Principio indubbiamente rispettoso dell’esigenza, costituzionalmente riconosciuta oltre che logicamente naturale, che un “canone” debba essere versato solo in presenza di un corrispettivo servizio o beneficio ricavabile da una prestazione. Nessuno, per fare un esempio calzante, si sognerebbe di chiedere il pagamento di un canone per la locazione di un appartamento ancora non realizzato. Meno che mai di far pagare il canone al futuro inquilino per costruire la casa che gli sarà affittata!
In modo giuridicamente irreprensibile ai cittadini, che corrispondevano il canone di depurazione senza beneficiare del relativo servizio, avrebbe dovuto essere restituito quanto pagato ingiustamente per i dieci anni precedenti – tale era da considerarsi il termine di prescrizione – ed ovviamente tolto immediatamente l’addebito in bolletta. Ed a questo punto – sicuramente senza diatribe ed accuse reciproche tra maggioranza ed opposizione ma con una probabilissima intesa bipartisan – interviene la politica ed in modo particolare il governo. Mi verrebbe da dire, insomma, la solita politica autoreferenziale sempre pronta a difendere qualsiasi forma di privilegio e di prelievo ai cittadini. Questa, dimostrando una grandissima fantasia (e sfacciataggine) ha predisposto un decreto mediante il quale è stato inserito il principio che il canone di depurazione deve essere corrisposto quando l’impianto sia semplicemente progettato.
Siamo arrivati, quindi, all’obbligo di pagamento di un canone per un servizio reso da un depuratore realizzato su un foglio di carta, dunque senza tener conto di qualsiasi elementare diritto del cittadino e con tanti ringraziamento ai principi costituzionali che, ovviamente, non vengono contemplati dal provvedimento cui ci riferiamo.
Due cose ci piacerebbe chiedere a chi ci governa. La prima di sapere quando ci sarà chiesto di pagare una tassa, un canone o qualsiasi altra gabella sulla base della sola “idea” di servizio. La seconda, se qualcuno si sentirà in dovere di farci sapere dov’è andata a finire quella somma enorme incamerata per canoni di depurazione non dovuti e che – secondo la legge – avrebbe dovuto essere vincolata alla costruzione degli impianti. Non avrebbe potuto essere usata per restituire ai cittadini interessati quanto percepito, “ingiustamente” (non illegalmente) secondo la Corte Costituzionale?
Ed, infine, com’è possibile che chi si richiama a valori liberali e liberisti sia capace di calpestare i diritti dei cittadini sanciti dalla Carta Costituzionale? Tutto ciò avviene, come nel caso esaminato, attraverso l'adozione di metodi discutibili volti a mantenere in essere illegittimità ed una sorta di accanimento fiscale nei confronti di coloro che hanno l’unico torto di essere cittadini di un Paese la cui classe dirigente non ha alcun rispetto né capacità di tutela nei loro confronti.