martedì 24 febbraio 2009

Parliamo ancora di amministratori di condominio

Nello scorso numero avevo affrontato il problema, di grande attualità, della necessità di giungere ad un codice etico e morale che dovrebbe sovrintendere ad un tipo di attività – quella dell'amministratore- che prevede la gestione di soldi altrui e, con essi, condizioni personali di varia natura.
Ritorno ora a parlare di questa professione prendendo spunto da un articolo di Maria Rita Parsi apparso sul quotidiano “La Nazione” a titolo “la sorpresa di Luigi: un lavoro perduto e il nido famigliare ritrovato” nel quale esamina il difficile rapporto un figlio ed il padre che, guarda caso, svolgeva il lavoro di amministratore di condominio.
La storia per la dolcezza dell’argomento trattato – il rapporto padre-figlio spesso difficile e contrastato - meriterebbe di essere raccontata per intero, ma ovviamente (augurandomi tuttavia che i lettori di queste brevi righe abbiamo avuto la fortuna di leggerla) ciò non è possibile. Pertanto, mi limito a riprenderne alcuni passaggi, decisamente eloquenti per chi non consideri la nostra professione solamente un modo di guadagnare soldi, qualche volta in modo anche scorretto se non disonesto.
Questo figlio, che aveva interpretato la figura del padre in modo del tutto negativo (“quel padre era un vero problema. Un uomo leale, coraggioso, lavoratore. Ma così rompiballe e puntiglioso che avrebbe fatto perdere la pazienza a tutti i santi. E poi competitivo e guascone. E, naturalmente, fascista”) perde il proprio lavoro e trova difficoltà a trovarne un altro, pur con la laurea in architettura, si vede costretto a chiedere al padre un aiuto per riuscire ad avere un nuovo impiego. In breve il genitore – assolutamente non infierendo e non facendo pesare la situazione – dice al figlio “se vuoi, c’è il mio lavoro. Io sono stanco di fare i conti e posso insegnarti a fare il contabile. I condominii aumentano e i disonesti che gli amministrano, pure. Io mi sono fatto la fama d’essere, perché lo sono!, un uomo onesto……………”.
Dopo molte perplessità – frutto anche di questo rapporto contrastato e difficile – il figlio accetta ed inizia con il padre questa attività “in giro per la città a fare riunioni, ad ascoltare persone, a fare i conti, a tirare somme, a riscuotere i quattrini….”. E qui il figlio si accorge che il padre , ben lungi dall’essere un fascista, era al contrario “umano, sapeva ascoltare, intervenire al momento opportuno, essere fermo, negoziare, imporsi senza darlo a vedere” e che inoltre “era un amministratore coi fiocchi che alla realtà delle cose sapeva dare ciò che essa richiedeva per radicassi nel giardino di ogni esistenza famigliare. Era quella la civiltà dei piccoli nidi, dei microcosmi famigliari della quale mai la politica dei grandi poteri si faceva carico di pensare ma che costituiva la fertile sostanza del paese”. E non solo trova un lavoro, ma, soprattutto, un padre e la famiglia.
Quali parole più giuste potrebbero essere dedicate a chi svolge da molti anni questa professione con la stessa sensibilità ed amore contenute nell’articolo di Maria Rita Parsi? Inevitabilmente, rende orgogliosi riconoscersi (anche solo in parte) nella figura di questo amministratore, della sua etica e moralità. Un ringraziamento, dunque, all'autrice, alla sua frequente attenzione al piccolo mondo del condominio e a un modo di intendere un mestiere al di là dello scorretto accumulo di denaro, quale molti lo interpretano.

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