venerdì 17 aprile 2009

Quale federalismo fiscale?

Proprio nella giornata di oggi, quando queste brevi considerazioni andranno in edicola, si terrà a Campi Bisenzio nella Limonaia di Villa Montalvo un interessante convengo sul “federalismo fiscale” il cui scopo è quello di fare chiarezza su un provvedimento destinato a modificare in modo considerevole la pubblica amministrazione e, presumibilmente, tutto il sistema impositivo e di ridistribuzione del reddito fra le varie regioni ed enti locali.
Indubbiamente, si tratta di una delle più importanti riforme. Da questa dipende infatti molto dei futuri assetti istituzionali le cui conseguenze potrebbero essere dirompenti se non venisse attuata con quel necessario mix tra interessi localistici e la più generale necessità di proteggere parti del paese più povere e/o con minori entrate dovute alla scarsa forza della produzione di risorse economiche.
Siamo alla vigilia di una svolta che potrebbe portare ad una possibile eliminazione di molte di quelle storture provocate da uno stato centralista, per certi versi non più in grado di controllare la spesa pubblica (anche se non sono certo migliori le situazioni di moltissime regioni, provincie e comuni) e di modificare l’assurdo peso dell’evasione fiscale che si scarica su una sola una parte del paese (sicuramente tutta la parte relativa al lavoro dipendente) costretta a farsi carico di aliquote così elevate da impedire un effettivo miglioramento delle condizioni di vita, rese sempre più difficili dalla criticità della situazione economica generale.
E’ grandissimo, tuttavia, il rischio insito in un’operazione che certamente non potrà che essere di tipo “solidale” e quindi tale da consentire alle regioni meno virtuose di continuare ad usare il denaro pubblico in modo scorretto. A ciò, conseguirà l'uscita della spesa da ogni controllo (come dimostrato dall’inefficienza di alcuni settori come ad esempio il sistema sanitario), confidando nei trasferimenti da parte delle Regioni economicamente più forti, ma al contempo anche più virtuose. Altrettanto preoccupante è l’incertezza sul costo di questa operazione, che, a prima vista, sembrerebbe molto elevato e a carico principalmente dei ceti medi delle Regioni più produttive del Paese (principalmente del Nord), sulle cui spalle rischierebbe di cadere l’onere principale della riforma.
Sarebbe un modo indubbiamente negativo di attuare un provvedimento per il quale si sono spese (e qualche volta sprecate) milioni di parole – positive o negative - in relazione alle varie parti politiche che si sono pronunciate. Tutto questo dibattere non ha certo portato a quella chiarezza che sarebbe stata auspicabile e necessaria vista la rilevanza dell’iniziativa e le sue possibili conseguenze negative per i cittadini, ove fosse sbagliato l’approccio con un problema di dimensioni enormi in rapporto al sistema attualmente vigente e consolidato.
Ed allora ben vengano convegni come questo, perché di una cosa certamente non avremmo bisogno: dell’improvvisazione e quindi della cattiva legislazione in primo luogo; della moltiplicazione degli enti e delle competenze (in definitiva dell'aumento dell’imposizione fiscale) in secondo luogo. Siamo forse pessimisti ma trovateci un motivo per non esserlo!

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