venerdì 19 dicembre 2008

Integrazione: molte parole e pochi fatti

Ho letto con vivo interesse sul quotidiano “La Nazione” i dati di uno studio condotto dal ricercatore Ulisse Di Corpo, che ha analizzato alcuni indici riguardanti la comunità cinese nella provincia di Firenze. Dallo studio emerge che dopo molti anni il fenomeno dell’immigrazione di questa comunità ha manifestato un trend inverso, in quanto si registra una riduzione, negli ultimi dodici mesi, dello 0,4% del flusso migratorio a fronte di un complessivo +18% negli ultimi quattro anni.
Innegabile l’effetto della crisi economica, particolarmente grave in Italia, rilevabile in questo dato. Ma non è questo l’aspetto che vorrei evidenziare circa l' interessantissimo lavoro, quanto, piuttosto, l’esame di alcuni dei motivi che hanno provocato difficoltà di integrazione secondo questi cittadini provenienti da una realtà culturale molto diversa dalla nostra e con particolare ed innegabile tendenza alla chiusura.
Se poteva essere facilmente intuibile che la difficoltà della lingua fosse nettamente al primo posto (ma significa che è stato fatto poco per superare questo ostacolo da entrambe le parti) è particolarmente significativo che al secondo siano state indicate le “condizioni abitative difficili” ed al quinto e sesto (ma con percentuali rilevanti) rispettivamente il “rapporto con gli italiani” (22,6%) e la “discriminazione” (19,1%), che sono due facce della stessa medaglia e portano la percentuale totale delle risposte inerenti questo aspetto (integrazione) al 41,7%.
Purtroppo la lettura di questi dati e la contestuale presa di coscienza delle risposte fornite al ricercatore dai cittadini cinesi (ma è da ritenersi che in massima parte sarebbero uguali anche per altre comunità di cittadini stranieri) mi ha provocato amarezza e contrarietà perché se da una parte viene confermata la mia corretta interpretazione del fenomeno, dall’altra viene evidenziata l’assoluta mancanza di iniziative pratiche (parole ne sono state dette tante) da parte delle istituzioni.
Ho affermato più volte che il miglior modo di favorire l’integrazione sarebbe stato quello di creare buoni rapporti all’interno dei condomini, dove si instaurano i primi contatti fra i cittadini di diverse etnie e la nostra comunità. Il condominio rappresenta quel piccolo mondo, circoscritto dalle pareti domestiche ma aperto a tutti nelle parti comuni, che consentirebbe in modo più diretto, ed anche più facile, di far conoscere reciproci usi, costumi e consuetudini al fine di creare i presupposti per poter estendere la pacifica convivenza fra etnie dall’edificio al paese.
Non è un caso che la mia idea di “regolamento condominiale multietnico” sia stata recepita da Confedilizia, che lo ha tradotto in pratica pubblicandolo, e non è assolutamente strano che la presentazione del regolamento sia avvenuto alla Camera dei Deputati alla presenza di associazioni particolarmente impegnate verso il mondo dell’immigrazione come la Caritas.
Purtroppo, a conferma che nessuno è profeta in patria, proprio le istituzioni di Campi Bisenzio non hanno compreso l’importanza di questa iniziativa ed alle proposte di organizzare incontri con le varie etnie per favorire ed agevolare l’integrazione a partire dal condominio, si è risposto con argomenti risibili ed assurdi che non hanno fatto che confermare quanto sia facile parlare e quanto invece sia più complicato agire. Anche un semplice amministratore di condominio (tanto vituperato) può avere buone idee e soprattutto tanta volontà di contribuire alla soluzione dei problemi senza alcuna intenzione di ottenere dei vantaggi personali.

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